"Perché una realtà non ci fu data e non c'è; ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere; e non sarà mai una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile"

(Luigi Pirandello)

giovedì 1 novembre 2012

Pianta malata

Che acciderbolina ha la pianta del mio ragazzo? (di cui né io né lui ricordiamo il nome)























(Mi scuserete per il ritorno non richiesto e non legato alla cucina, ma avevo bisogno di un posto free dove scaricare le foto della pianta... penso spesso al blog e ai blogger che seguivo e che continuo a leggere, ma è un periodo - lungo- in cui al blog non riesco a star dietro. Mea culpa)

sabato 12 maggio 2012

Riflettere sui bordi di un cimitero. E vorticando per la primavera climatica ma non politica con un piatto che arriva un po' in ritardo: gli spaghetti con salsa di asparagi selvatici, ricotta e noci

Stamattina, dedicandomi alla mia quotidiana (o che almeno ambirei esser tale ) ora di passeggiata, sono passata di fronte all'entrata di un cimitero. Nessun senso di spiritualità o di ricordo del morto mi ha spinto là dentro, ma solo il caldo umido che mi si appiccicava alla pelle: ho pensato che i cimiteri a volte sono grandi e articolati e che di sicuro sono più freschi e meno caotici della strada che stavo percorrendo.
E così sono entrata.
E volente o nolente, percorrendo a passo rapido i filari di tombe, godendo del fresco e del silenzio di contro al boato delle macchine che ancora udivo in lontananza, non ho potuto fare a meno di farmi travolgere da sensazioni velate di riflessioni (o da riflessioni velate di sensazioni, ché tanto è lo stesso...).
Trovo interessanti i cimiteri perché inducono a riflettere, più che alla nostra caducità, al passare del tempo. 
Sotto i miei occhi sono scorse delle epoche, tutto il XX secolo e gran parte del XIX secolo, oltre che qualche testimone del XVIII secolo che ha gloriosamente sforato anche il secolo successivo. 

Il cimitero mi fa pensare ai tempi passati, agli anni trascorsi, alle vite finite troppo presto. Mi da' il senso dell'enormità del tempo che scorre, il fascino di stare guardando qualcosa che è stato inciso 50 o 100 o 200 anni fa. La stessa emozione che mi da' la visita a un sito archeologico o a un antico palazzo, in cui posso pensare di stare camminando sullo stesso suolo calpestato millenni o secoli prima da altri esseri umani come me. 
E' stato per me come un calarsi nel passato, in maniera pericolosamente speculare a quello che da un mese a questa parte mi sta frullando nello stomaco e che ogni anno la primavera ricorda.

La primavera è vita, è sfolgorare della natura, è fiorire e rifiorire, è ritorno dell'istinto e della passione. E' lo sciogliersi del gelo e un nuovo profumo da respirare.
E' per me il ricordo dei cartoni animati che guardavo da piccola e che, se riguardavano i non umani, avevano tutti più o meno lo stesso ciclo, in cui la primavera significava maturità, crescita, ritorno all'avventura.
La primavera mi rende malinconica. Mi fa pensare a tutte quelle "primavere" che ho visto tornare, a tutto quello che ho fatto, che potevo fare, che avrei dovuto fare. Mi fa sentire come proiettata in un'epoca passata, del MIO passato, in cui ero più piccola e avevo poche preoccupazioni e tanti sogni. 
A volte ho quasi l'impressione di essere "vecchia", di aver già trascorso la parte bella, giovane, della mia vita, di essere bloccata in una situazione che io, da "giovane", non avrei voluto.
A pensarci razionalmente, con la mente e il cuore aperto, è ovvio che non è così, perché ho 26 anni e SONO giovane, anche se in maniera diversa da quanto si è giovani a 16 o 17 anni. Ho fatto già delle scelte che mi hanno indirizzata ma il mio futuro è ancora totalmente aperto. Citando un film di Virzì, ho letteralmente "tutta la vita davanti".
Eppure a volte la sento in maniera diversa, e la primavera mi ricorda inesorabilmente questo mio diverso sentire. Non che non ami il sole, il cinguettio degli uccelli, il profumo snervante dei fiori sbocciati... ma li amo con un velo di malinconia, ecco.
In omaggio a questa primavera dolce-amara voglio qui condividere con voi una ricetta fatta ormai quasi due mesi fa. Era il momento degli asparagi selvatici, che il mio ragazzo - vinta l'iniziale mia diffidenza - mi ha insegnato a conoscere, raccogliere e amare.
Sono fiera di questa ricetta perché l'ho totalmente improvvisata con gli ingredienti che avevo nella dispensa, ottenendo un piatto decisamente degno di nota, al punto da riproporla una seconda volta con i molti asparagi avanzati e congelati. E' una ricetta semplicissima e, nella sua semplicità, decisamente gustosa: nella mia ignoranza, devo aver indovinato dei buoni abbinamenti.
Con questa ricetta raccolgo la sfida di Laura de La cucina di Laura e la ringrazio caldamente di aver dato a me - come a tutti i foodblogger - la possibilità di condividere le nostre creazioni di asparagi:








Nel titolo accenno ad una "non primavera politica" che resterà solo un accenno, perché la politica in questo periodo mi disgusta così tanto che non ho alcuna voglia di perderci più del necessario. In realtà le amministrative di qualche giorno fa possono essere lette come un cenno di volontà di nuovo, dichiarando la fine della vecchia casta politica, della vecchia organizzazione politica.... ma c'è davvero del nuovo per sostituirla? E il governo tecnico che fa?




Per nessuno è tutto facile, tutti abbiamo i nostri mostri da sconfiggere.

Non sai cosa gli altri stanno attraversando. Nessuno è perfetto e non è necessario esserlo.

Quindi prima di giudicare, criticare, condannare, ricorda che siamo tutti uguali. Combattiamo la nostra battaglia con la vita, con le armi che abbiamo.
Stephen Littleword




Spaghetti alla crema di asparagi, ricotta e noci




sabato 28 aprile 2012

Incerta tra possibilità e creatività, e nelle potenzialità dell'improvvisazione con i maltagliati integrali al radicchio e noci

Sono grande sostenitrice dell'immensa potenzialità dell'improvvisazione... improvvisare è un'arte, ancor più che saper eseguire direttive, comandi, prescrizioni o similari, anche perché queste già presuppone.
Se un attore non è capace di recitare un copione già scritto, non saprà mai improvvisare.
Se uno chef (o aspirante tale) non è capace di cucinare ricette già scritte, non saprà mai improvvisare sul momento una ricetta degna di nota.
La capacità è legata indissolubilmente alla possibilità di svilupparsi. Ma a questa possibilità è legata anche, allo stesso modo, la creatività?
E' grazie al suggerimento della cara Patapata che nel mio cervellino ha cominciato a lambiccarsi sulla connessione tra possibilità, ovverosia il disporre del tempo libero adeguato per dedicarsi a svaghi e similari, e creatività, ovverosia la capacità di allargare i propri orizzonti mentali inventando, incollando, unendo, creando.
Patapata non lo sa, ma quella in cui mi ha coinvolta è una riflessione tragicamente autobiografica. 
Sono disoccupata ormai da troppo tempo; da troppo tempo sto mandando domande sperando almeno in una risposta di ricezione; da troppo tempo mi scontro con la situazione di crisi globale, con la mancanza di possibilità che apre la Toscana anche solo per uno stage (sia chiaro, adoro la mia regione che a mio pensare è la migliore d'Italia... anche a livello lavorativo ha fatto una riforma sullo stage/tirocinio che le altre non hanno che invidiarle; ma le possibilità lavorative - in termini di stage - che essa ha sono poche rispetto a quelle presenti in altre regioni, come ad esempio Lombardia o Emilia Romagna), con la mia incapacità di farmi valere.
E' una situazione che mette in difficoltà, sia economiche che morali... ma che lascia un sacco di possibilità, nei termini in cui ne parla Patapata. Ho intere giornate libere.
E la creatività? Come siamo messi a questa?
Stando in questa situazione ho notato che la possibilità non incentiva affatto la creatività. Non voglio dire che la affossa, perché con tutto questo tempo ho potuto sbizzarrirmi nelle più stupefacenti creazioni e osare operazioni che forse non avrei mai pensato.... ma non credo sia il meccanismo che la fa incrementare. 
A volte avere troppa possibilità di tempo fa anzi crollare ogni impulso creativo.
E' un rischio in cui sono caduta, anche se sto cercando di risollevarmici, complici anche il sole e la primavera/quasi estate che sta arrivando.
La possibilità è in realtà un presupposto per la creatività, questo sì... Senza avere la possibilità di imparare le tecniche culinarie, senza potere apprendere trucchi o anche semplicemente le ricette basilari, manca ogni fondamento per poter essere creativi.
Devo poter aver avuto la possibilità di imparare a usare le tempere (o la pittura ad olio, o gli acquarelli, o i pastelli... fate un po' voi) per dar sfoggio della mia creatività.
Deve poter avuto la possibilità di imparare a suonare per potermi sbizzarrire nelle più audaci melodie classiche.
Devo poter aver avuto la possibilità di imparare a cucinare, a mescolare, a capire i giusti abbinamenti per poter inventare i piatti ed essere creativi.
Avuto questo, a volte il poco tempo da' anzi uno stimolo, un'urgenza che mette in moto i neuroni e stimola la creatività. Certo, il tempo non deve mai essere troppo poco, al punto da non consentire nemmeno da mettersi ai fornelli.
Come già disse Aristotele, la virtù sta inevitabilmente nel mezzo (il c.d. "giusto mezzo").



Nonostante il periodo non proprio esaltante per il mio umore (e per le mie volontà di creazioni culinarie), sono riuscita a tirar fuori una creazione di cui vado particolarmente fiera. Da qualche tempo a questa parte ho cominciato a fare la pasta in casa: non la faccio sempre perché trattasi per me di un evento eccezionale, che mi ruba un po' di tempo e che mi impegna molto.
Ma in un anno ho prodotto molte tagliatelle all'uovo, pici senesi e maltagliati di varia specie e foggia. Pur avendoli dileggiati a lungo, da poco ho rivalutato questi ultimi, perché consentono di fare da un'unica sfoglia pezzi di pasta la cui diversità nella forma è un pregio anziché un difetto.
Di questi maltagliati che vado a proporvi, ho totalmente improvvisato gli ingredienti di composizione. Per il sugo, invece, ho preso spunto da una ricetta che avevo letto tempo prima sul blog Cucina Vegan e che mi aveva intrigato un sacco: le Farfalle con Radicchio e Noci. In realtà non ho assolutamente seguito la ricetta del blog ma ho solo copiato l'idea di unire il radicchio con le noci... idea splendida e molto gustosa, peraltro.


Chi lavora con le sue mani è un lavoratore. Chi lavora con le sue mani e la sua testa è un artigiano. Chi lavora con le sue mani e la sua testa ed il suo cuore è un artista.
(San Francesco D'Assisi)



Maltagliati integrali con radicchio e noci 


sabato 10 marzo 2012

Un pensiero e una speranza di armonia... e una fiaba che la augura, per presentare le Fette Biscottate Bicolori che ricordano ad occhio le Armonie Mulino Bianco. Un'occasione per pensare alla donna. E due contest interessanti.

La cosa brutta di aver sospeso l'attività di blogger per quasi un anno è che ho davvero poche ricette fotografate e archiviate da condividere... anche se ho tante cose da dire....
Marzo è arrivato e con lui un po' di sole, promessa di primavera, di colore, di serenità. Il sole mi ha dato conforto per un po', risollevandomi da tutte le preoccupazioni dovute all'assenza di lavoro (prevalentemente solo a quella, in effetti.... ) e di dovuti stimoli culturali o analoghi.

Ed è anche passato l'8 marzo, con il suo carico di riflessioni e di considerazioni ulteriori che porta con sé; che lo porta per me, ma fortunatamente anche per molte altre (e altri), per le quali ieri è stata più che altro un'occasione per riflettere sulla condizione della donna nel mondo e in Italia, sulle discriminazioni che ancora esistono qui e che trionfano altrove. Pensare alle conquiste fatte e alle molte che ancora ci sono da fare perché, anche se le donne sono tutelate anche a livello legislativo nella "democratica" Repubblica italiana, le discriminazioni, le vessazioni, gli sfruttamenti sono anche qui ancora presenti, sia in ambito lavorativo che personale-affettivo.
Nella nostra nazione le cose vanno indubbiamente molto meglio che in altre, dove alle donne non è riconosciuta nessuna tutela giuridica, nessun riconoscimento morale... Le conquiste che abbiamo avuto nell'ultimo secolo per quanto riguarda il riconoscimento di diritti e tutele devono essere riconosciute e, questo sì, quotidianamente festeggiata.
Ma sottaciuto, silenzioso, penso ci sia sempre un sottile strato discriminatorio, una considerazione differente in termini di riconoscimenti, di valorizzazione dei meriti.... forse non c'è in tutti i contesti, e penso che in determinati contesti culturali, o sociali, sia più sentito di altri. Però è mia idea (e non solo mia) che la parità dei diritti e della considerazione sia ben lungi dall'essere raggiunta....
Citando la frase di Francesca Inaudi su "Venerdì" di "Repubblica" del 2 marzo 2012, secondo cui "l'essere umano, per sua natura, esercita il potere attraverso la violenza". La donna è spesso vittima di questo a causa della sua apparente fragilità e per la minore forza fisica. E questo, forse, è alla base di tutte le violenze, i soprusi, le prepotenze svolti quotidianamente contro le donne, oltre a tutte le costruzioni metafisico-morali da sempre elaborate per sostenerne e dettarne l'inferiorità.
L'8 marzo è, come ho giustamente letto, una "festa a metà", perché anche qui la parte femminile della popolazione è ancora troppo spesso maltrattata, violata, violentata, svilita e discriminata.

Ma non sono qui, oggi, per intristirmi e intristire, ché la realtà è già di per sé abbastanza triste e non è il caso di rimarcarlo, sempre, nei post di un blog che ha la presunzione di definirsi un blog di cucina .
Forse è meglio stemperare un  po' tutto con una fiaba, di mia personale invenzione , per avere un po' l'illusione che a volte esista un completo lieto fine, che il mondo non sia organizzato in tonalità di grigio ma che ci sia, da qualche parte, l'infantile e rassicurante distinzione in bianco e nero.
L'idea della fiaba non è mia, lo ammetto...  Ho scoperto per caso il contest "C'era una volta in cucina" di Mezzaluna, contest che mi ha davvero affascinato, per la mia antica passione per la scrittura.


E pensando e ripensando alle ricette (poche) che avevo da postare e alla novella da allegare, oltre che all'"evento" (la festa della donna) appena passato, ho pensato di abbinare il tutto proponendo le mie Fette biscottate bicolor accompagnate da una fiaba che parli un po', per quel che può, della discriminazione (oltre che del suo contrario).


Ogni volta che una donna permette che qualcuno le dica come deve essere, vestirsi o pensare, annulla se stessa dentro un modello astratto che l'uomo si sente di usare e possedere.
(Francesca Inaudi: "Il Venerdì" di "Repubblica", 2 marzo 2012)




Fette biscottate bicolor con pasta madre (simil-Armonie della Mulino Bianco)


'C'era una volta un regno, il regno di Tabitha, collinare e montagnoso, coperto di rigogliosi boschi floridi e fiorenti. La natura prosperava e come lei gli abitanti del regno, che vivevano per lo più di agricoltura, artigianato e commercio con i regno vicini.
Esisteva un solo sbocco al mare, sul lato  di terra che ospitava la capitale Ediadorth. Nella capitale stessa era presente l'unico porto del regno, teatro di traffici, scambi economici e culturali e incontri con il diverso.
In Ediadorth, che dava sul mare ma abbracciava con lo sguardo anche le montagne, sorgeva il gran palazzo reale, emblema e simbolo della gloria e dello splendore di Tabitha.
Non c'era persona nel globo che non conoscesse, se non altro di nome, il regnante di Tabitha: Abigail. La sua storia aveva percorso il mondo, facendo inorridire, gioire, gongolare o arrabbiare persone di qualunque ceto sociale, sesso o età. Anche in regni lontani chilometri e chilometri da Tabitha, i bambini (e le bambine) ancora giocavano all'ascesa di Abigail, con variazioni più o meno tragiche o comiche.
Nessuno conosceva le origini di Abigail: si narrava fosse giunta anni prima, dal nulla, ad Ediadorth. Indossava abiti maschili usurati ma che un tempo dovevano aver avuto un certo pregio. 
Abiti degni di un nobile o di un re.
Con la lunga spada che portava con sé, aveva sfidato il re allora in carica. Secondo una legge di Tabitha, chiunque fosse capace di battere il re in carica in un duello aveva pieno diritto a succedergli, scavalcando la tradizionale norma dell'ereditarierà di sangue.
A dispetto dell'incredulità della corte e degli spettatori - mai una donna aveva avuto il pensiero di sfidare il re, o l'illusione di poter battere un maschio! - la visitatrice aveva vinto e aveva preso legittimamente il potere. I malcontenti erano stati molti, soprattutto da parte del principe ereditario e dei cortigiani che più gli erano vicini, ma Abigail, adesso Regina, li aveva soffocati nel sangue.
Aveva infatti guadagnato un certo seguito nell'esercito, che accettava in gran parte di obbedirle, forse per un velato senso di ammirazione o per il timore che quella femmina potesse ripagare in maniera ben più atroce di un colpo di spada la loro disobbedienza. I pochi soldati che le si erano opposti erano stati uccisi o condannati all'esilio.
Una volta sedata ogni possibilità di rivolta, la Regina Abigail aveva intrapreso una serie rivoluzionaria di riforme: aveva totalmente emancipato le donne e sottomesso, almeno a livello formale, i maschi. Solo alle donne era stato permesso di accedere alle cariche più elevate, e solo alle donne era permessa la leva. 
Aveva creato una schiera di Ministri donne e un esercito formato di sole femmine, che inizialmente aveva affiancato l'esercito reale che l'aveva aiutata a soffocare le opposizioni e poi l'aveva del tutto sostituito.
Aveva agito sulla mentalità della gente, unendola a una buona dose di violenza, di tortura e di prigione.
Era riuscita a creare il primo stato femminile della storia.
Adesso, dopo quasi due generazioni di regno, la superiorità femminile era ormai dogma acquisito e accettato. Gli uomini dovevano stare a casa, badare ai figli svezzati, alla cucina, alle questioni domestiche.
In alcune famiglie più "illuminate" potevano studiare insieme alle donne. I pargoli nobili avevano l'obbligo di imparare a suonare uno strumento, a danzare, a dipingere e alla letteratura; ma non era loro concesso di farne una professione!
Abigail, ormai invecchiata, era contenta. Aveva creato un nuovo regno, il suo regno, in cui alle donne erano state concesse possibilità mai sperate. Talenti femminili erano sorti, avevano potuto svilupparsi e fiorire.
Tabitha era potente a livello economico, culturale, militare.
Quando sua figlia maggiore, Raika, le fosse successa, avrebbe continuato la sua opera. Si fidava di morire di morte naturale, perché nessuno aveva più avuto il coraggio di sfidarla quando, alla matura età di 55 anni, era stata in grado di battere un giovanotto ardente di 22 anni.
E così, finalmente, il suo sogno si era realizzato. La parità era stata raggiunta.
Così pensava la Regina Abigail, una sera, osservando il tiepido sole primaverile che tramontava in un mare di riflessi, arrossando dolcemente il mare e la città vicina.  Era stata capace di arrivare all'equilibrio. Era stata brava....
'Equilibrio, Abigail?'
La voce, sbucata dal nulla, la fece sobbalzare. La Regina si voltò, guardandosi attorno sospettosa e cercando con lo sguardo la creatura che aveva emesso quei suoni.
Portò la mano alla sua vecchia spada, la stessa che, quasi quarant'anni prima, le aveva permesso di avere il potere.
'Quella spada non ti servirà a nulla, Abigail. E poi, stai guardando dalla parte sbagliata.'
Un raggio di luce iridiscente, dei colori dell'arcobaleno, spuntò all'improvviso, bruciando la pelle della nuca di Abigail. Veniva da fuori.
La Regina si mosse, incerta, non sapendo dove dirigersi, e la luce cominciò a prendere forma. Assunse consistenza.
E in un gioco strano di luci e di ombre, fu un gatto. Un gatto dal manto nero e gli occhi grandi, gialli, intelligenti.
'Sei tu?' chiese Abigail con voce roca, come se avesse riconosciuto qualcuno.
E il gatto parlò. Con una voce femminile, dolce, che ricordò ad Abigail una notte di tanti anni prima.
'Sono io, Abigail. Te l'avevo detto che sarei tornata. Sono passati cinquant'anni da allora. Lo ricordi?'
Abigail parve regredire di decenni. Come non succedeva da anni, trattenne un singulto.
'Te lo ricordi, vero?' rimarcò la gatta - che Abigail sapeva non essere una gatta normale, ma un essere magico, un protettore, una specie di fata madrina. 
L'aria cambiò. Il dolce rosso del tramonto che andava spegnendosi scurì, spargendosi su di loro come mantello di sangue. La stanza del Palazzo Reale scomparve, sostituita da un vicolo buio, isolato, su cui colava l'ondata di sangue del tramonto che sembrava premonizione.
C'era una ragazzina esile, emaciata, che si stringeva addosso i pochi stracci. Portava su di sé evidenti segni di percosse e si mangiucchiava nervosamente le unghie.
Dalla vicina baracca si udivano rumori di botte e grida d'aiuto subito soffocate, mescolate a insulti pronunciati da una bassa voce maschile.
La bambina chiuse gli occhi avvertendo il rumore di uno schiaffo.
E poi un altro, un altro, un altro... Sua madre neppure trovava la forza di urlare, non può e non vuole... suo marito è nel giusto, lo è sempre stato, sempre con lei. E se il suo compagno la picchia, forse può distrarsi dal picchiare o dal toccare la loro unica figlia.
'Avevi voluto giustizia, vero, Abigail?' sussurrò la fata-gatta all'orecchio della Abigail sessantenne. 'Tuo padre aveva picchiato te e tua madre fin da sempre. E per di più, da quando avevi circa nove anni e la tua femminilità aveva cominciato timidamente ad affermarti, aveva iniziato a toccarti in un'altra maniera, che faceva meno male ma che era ugualmente oscena, brutta, triste. 
'Era una cosa schifosa, ti sentivi sporca. E avevi cominciato a preferire di essere picchiata.
'E lo avevi odiato.
'Li avevi odiati tutti, vero?, Abigail... gli uomini. Maneschi, violenti, prepotenti come tuo padre. Schifosi come lui, come lui osceni e degni solo di disprezzo, al massimo di paura. Quegli uomini, che non ti permettevano di fuggire davvero da casa tua, di costruirti un avvenire lontano da quel porco di tuo padre. Nessuno ti voleva a lavorare, in quanto donna.'
'Poi sei arrivata tu' mormorò l'Abigail Regina, osservando il ricordo di se stessa undicenne. 'E mi hai insegnato a combattere. Mi hai regalato la spada. Vedevi la fiamma nel mio sguardo, sapevi...'
'Sapevo che saresti stata capace di fare tante cose, Abigail. Vedevo che eri stufa dei soprusi che subivi tu, che subivano le altre ragazze come te.... tutte le discriminazioni cui eravate condannate. E ce l'hai fatta Abigail' La gatta sembrò prendere fiato a lungo. 'Ce l'hai fatta. A metà.'
'A metà?!' insorse la Regina Abigail, facendo retrocedere la scena alla sua amata, presente, sicura, stanza del Palazzo. 'Ma l'hai visto che cos'ho fatto? Dove le ho portate? Cosa ho fatto scoprire...'
'Perdendoti l'altra metà del tutto' replicò la gatta. 'Alla ricerca di giustizia, quanta ingiustizia hai portato, Abigail? E non solo in termini dei morti, dei condannati, degli esiliati... sia uomini che donne, creature che cercavano un modo alternativo di essere. Parlo di questo, certo, ma anche delle possibilità negate, delle prepotenze inferte. Dei talenti che hai sotterrato, mentre nei scoprivi altri. Hai portato in superficie la metà sommersa... ma la tua non è parità, perché non hai permesso che l'altra restasse in superficie.' La gatta la guardò a lungo negli occhi, uno sguardo che da giallo si fece gradualmente verde. 'Siete due metà necessarie e compatibili. L'una non avrebbe senso senza l'altra. Siete due metà che devono procedere in armonia, in parità, in equità. I meriti devono prevalere, non il genere. E l'armonia...'
'Gli uomini non vogliono armonia!' replicò Abigail. 'Farebbero tutto male, di nuovo.'
'Neppure tu hai fatto bene, cara. Dovete imparare a convivere senza che nessuno voglia, o possa, infierire sull'altro. Sarà difficile, perché l'essere umano è una creatura difficile. Ma tu hai fatto tanto. Potrai cominciare anche questo.'
'Io sono vecchia.' replicò la Regina, quasi in lacrime.
'Pensaci, cara. Pensaci e basta.' Con un suggerimento di luci e uno spolverio di stelle, la gatta scomparve.
La Regina Abigail non chiuse occhio tutta la notte. Doveva pensare e ricordare.
Di mattina presto mandò a chiamare Raika e la tenne a parlare per un sacco di tempo, quasi due giorni. Poi lasciò la sua carica di regnante e la passò alla figlia che, alla giovane età di 25 anni, divenne Regina. 
La politica di Raika fu completamente diversa da quella della madre, e nessuno arrivò mai a sospettare che fosse stata ispirata da lei. Concesse stesse possibilità a donne e uomini, nel corpo militare, in quello diplomatico, mercantile e di corte; diede a tutti la stessa possibilità di studiare e di coltivare il proprio talento. Fu prudente ad agire su una mentalità già da troppo poco tempo violentata.
Pose le basi per quell'armonia giusta e sana di generi diversi, che un po' ricorda queste....'





domenica 19 febbraio 2012

Riflettere per una data.... e omaggiare la memoria con una crostata. Perché siamo banali e ci piace l'abbinamento pere-cioccolato...

... e ci piace anche ricordare.
Pluralia maiestatis a parte, questa introduzione (contenuta in gran parte nel titolo), è niente più che un pretesto per ricordare - e ricordarsi - che alcune giornate sono intrise di significato. Ovviamente non lo sono tutte, né tutte hanno una data, né tutte possono essere ricordate con esattezza.
Ci sono giorni che hanno un significato solo per il fatto di essere là, per il sole, per l'odore del vento, per la serenità che emanano e che si trasmette al cuore.
Ci sono giorni tristi, di cui si ricorda solo la la cappa nera che si sentiva attorno, addosso... quei giorni il cui loro significato risiede nel loro non avere significato.
E poi ci sono quei giorni segnalati dalle date. Quelli che è possibile segnarsi sul calendario, per ricordarli. Che hanno significato per una certa porzione di mondo (si pensi al Natale, che ha un forte significato per quella porzione di mondo che professa la religione cattolica), per una nazione, per una città, per una famiglia, per una persona singola...


... da notare inoltre il restringimento di campo e di ampiezza di considerazione, che dal quasi-universale (il quasi mondo) porta all'assolutamente individuale (la persona singola, anche su questo su potrebbe aprire un'ulteriore parentesi su quanto e se sia possibile predicare l'assoluta individualità di una persona, la quale si forma in ciò che è anche - e forse soprattutto- attraverso il rapporto che ha con gli altri)...


Forse dico cose banali. Ma questa considerazione è nata nella mia testa pensando ad oggi, 19 febbraio, e a quello che significa per me, alla duplice importanza che riveste per la mia esistenza.
In questa data infatti vengono a collimare due eventi ampiamente significativi, anche se assolutamente non confrontabili: il 19 febbraio di ormai tanti anni fa (più di 20, per essere precisi) è nata mia sorella, e quindi oggi è il compleanno di mia sorella, e il primo pensiero che ho riguardo alla data odierna; ma il 19 febbraio di due anni fa ho anche conseguito il titolo di laurea specialistica, chiudendo la mia vita di studentessa ed entrando a pieno titolo nel mondo vero, con tutte le preoccupazioni che questo comporta.
E oggi più che altri giorni sono portata a fare un bilancio complessivo.
Perché due anni sono tanti ed in due anni qualcosa deve cambiare. E in un certo senso, per fortuna, qualcosa è cambiato.
C'è stata l'esperienza della Turchia che, bene o male, mi ha permesso di guardare il mondo da una prospettiva più ampia.
C'è stata l'esperienza, anch'essa forte, di andarmene di casa a condividere un appartamento con altre ragazze... pur non avendo ancora raggiunto l'autonomia economica...
C'è stata l'esperienza del Master che, pur proiettandomi ancora nel mondo studentesco, ne era in realtà estraneo.
C'è stata l'esperienza del seminario formativo all'Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana.
C'è stato il bisogno di venire a capo, sempre e comunque, delle esigenze della vita, e di doverle affrontare praticamente da sola, o comunque non più supportata - o in ogni caso supportata meno di prima - dai miei genitori.
C'è stata la costruzione - non facile - di un rapporto bello con il mio ragazzo, che forse è una delle più belle conquiste dell'ultimo anno.
E' vero, non ho ancora un lavoro vero, e nemmeno uno falso ad essere sinceri - se si fa eccezione per le promozioni per cui ogni tanto sono contattata.
Ma dei cambiamenti ci sono stati, è indubbio... anche, spero, un po' nel mio modo di essere di pormi, di fronte agli altri e al mondo. A volte non c'è altro da fare che cambiare, anche solo per sopravvivere.
E ho scelto di omaggiare questo anniversario e questa duplice celebrazione (il compleanno di mia sorella e la laurea specialistica) con una crostata speciale, scoperta da poco e subito approntata... e finita in un batter d'occhio (ma la responsabile di questo, credetemi, non sono stata io ).
Avevo della cioccolata e una pera da usare. E nella migliore delle tradizioni ho pensato di farci un dolce. Anzi, una crostata.
Un po' banale, forse, ma ci è piaciuta tanto questa banalità!


Quando diciamo cose tipo 'Le persone non cambiano', facciamo impazzire gli scienziati. Perché il cambiamento è letteralmente l'unica costante di tutta la scienza, L'energia, la materia, cambiano continuamente, si trasformano, si fondono, crescono, muoiono. E il fatto che le persone cerchino di non cambiare è innaturale, il modo in cui ci aggrappiamo alle cose come erano invece di lasciarle essere ciò che sono, il modo in cui ci aggrappiamo ai vecchi ricordi invece di farcene dei nuovi, il modo in cui insistiamo a credere, malgrado tutte le indicazioni scientifiche, che nella vita tutto sia per sempre. Il cambiamento è costante. Come viviamo il cambiamento, questo dipende da noi. Possiamo sentirlo come una morte o possiamo sentirlo come una seconda occasione di vita.
(Grey's Anatomy, settima stagione) 


Crostata "sbriciolosa" di pere e cioccolato

La fonte è il blog di Mima Senza Sale in Zucca... anche se il risultato, come può emergere da un rapido confronto, è nettamente diverso. Ho cambiato un po' le dosi e le proporzioni della frolla e della crema... ma non per una scelta consapevole.
All'inizio infatti volevo dimezzare le dosi, ma nella preparazione della frolla ho finito per preparare la dose intera, con meno uova, meno burro e meno lievito. Per la crema ho dovuto semplicemente affidarmi a ciò che avevo in dispensa, che non corrispondeva a quanto richiesto da Mima. 
Il risultato è stato comunque ottimo, quindi ve lo propongo.



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